Frankenstein

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Frankenstein

di James Whale

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Usa, 1931, 71′
Sceneggiatura: Garrett Fort e Francis Edward Faragoh, dalla versione teatrale di Peggy Webling e John L. Balderston, basata sul romanzo di Mary Shelley
Fotografia: Arthur Edeson
Montaggio: Clarence Kolster
Musica: Bernhard Kaun
Scenografia: Charles D. Hall
Effetti speciali trucco: Jack P. Pierce
Interpreti: Colin Clive (Henry Frankenstein), Mae Clarke (Elizabeth), John Boles (Victor Moritz), Boris Karloff (il Mostro), Edward Van Sloan (Dr. Waldman), Frederick Kerr (Barone Frankenstein), Dwight Frye (Fritz)
Produzione: Carl Laemmle Jr. per Universal Pictures
Distribuzione: Universal Pictures

In un villaggio delle alpi bavaresi, lo scienziato Henry Frankenstein lavora a un esperimento per creare un uomo assemblando parti di cadaveri cui ridar vita con l’elettricità. La creatura però fugge dal laboratorio e compie involontariamente alcuni crimini, attirando così su di sé l’ira della gente del posto.

Note di regia:
Di 30 storie disponibili, era quella più appetitosa e mi ha dato la possibilità di cimentarmi con il macabro. Ho pensato che sarebbe stato divertente cercare di rendere credibile ciò che tutti considerano fisicamente impossibile. Inoltre, offriva ottime possibilità visive, aveva due grandi personaggi e aveva un soggetto imprevedibile, e questo è parte del divertimento nel fare film.
(James Whale, da Cinephilia & Beyond)

James Whale
Nato a Dudley, in Inghilterra, nel 1889, dopo gli studi d’arte decide di seguire una carriera teatrale come attore, regista e scenografo. Dopo essersi trasferito in America, si vota al cinema dove lavora in esclusiva per la Universal dal 1931 al 1937. Sono di questo periodo i suoi film più famosi, Frankenstein (1931), Il castello maledetto (1932), L’uomo invisibile (1933) e La moglie di Frankenstein (1935). Gli insuccessi che seguono interrompono però la fortunata sequela e portano a una precoce fine della carriera. Tornato al teatro e alla pittura, viene colpito da un infarto nel 1956 e muore suicida l’anno dopo. Omosessuale dichiarato in un periodo in cui la lotta per i diritti civili era molto di là da venire (fra i legami più celebri quello con il potente produttore David Lewis), è anche per questo diventato un simbolo di emancipazione. La sua vita è celebrata nel film Demoni e Dei (2002).

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La critica:
Il film costituisce sotto molti aspetti un modello iconografico per l’horror successivo, con il motivo architettonico verticale, la sequenza della creazione, la folla di contadini con le fiaccole, l’incendio conclusivo. Ma conta anche la caratterizzazione psicologica del mostro, la cui semplicità sconfina innocentemente nella brutalità quando viene messo di fronte ad un mondo ostile: in questo, grande apporto viene dato da Boris Karloff, che dietro il trucco pesantissimo riesce a trasmettere le reazioni psicologiche della creatura solo con lo sguardo e l’impacciata gestualità.
(Renato Venturelli, da “Storia del cinema Horror in cento film”, Le Mani editore, 1994)