L’uomo che ride

     Clown e Maschere

L’uomo che ride

di Paul Leni

uomocheridemanifesto(The Man Who Laughs)
Usa, 1928, 110′
Soggetto: dal romanzo omonimo di Victor Hugo
Sceneggiatura: J. Grubb Alexander
Fotografia: Gilbert Warrenton
Montaggio: Edward L. Cahn
Scenografia: Charles D. Hall, Thomas F. O’Neill, Joseph C. Wright
Costumi: David Cox, Vera West
Interpreti: Conrad Veidt (Gwynplaine), Mary Philbin (Dea), Olga Baclanova (Duchessa Josiana), Cesare Gravina (Ursus), Brandon Hurst (Barkilphedro)
Produzione: Carl Laemmle per Universal Pictures

 

Gwynplaine, orfano dal volto sfigurato con le labbra contratte in un eterno ghigno, viene adottato da Ursus, un artista ambulante, e diventa un clown famoso, con il nome d’arte de “L’uomo che ride”. Della compagnia fa parte anche Dea, orfanella cieca adottata da Ursus, di cui Gwynplaine è innamorato. Un giorno, però, il buffone Barkilphedro scopre che Gwynplaine è di nobili origini e cerca di sfruttare la situazione a suo vantaggio…

Il regista: Paul Leni
Regista e scenografo tedesco, nonché figura chiave del cinema espressionista, inizia la sua carriera precocemente nel campo della pittura e del disegno, per poi lavorare nell’ambiente teatrale come attore e soggettista, ma soprattutto costumista e scenografo. Dopo essere passato alla regia, e aver realizzato classici come Il gabinetto delle figure di cera (1924), si trasferisce negli Stati Uniti e inizia a collaborare con la Universal, realizzando opere come Il castello degli spettri (1927), L’uomo che ride (1928) e Il teatro maledetto (1929). Scompare prematuramente nel 1929.

luomocheride

La critica
“L’uomo che ride” è un melodramma, ma così intriso di oscurità espressionista da funzionare come un horror. Tutto è incentrato sulla straordinaria faccia di Gwynplaine, il cui sorriso ampio e privo di allegria ha ispirato il personaggio di Joker nei fumetti di Batman.
(Roger Ebert)

L’adattamento del romanzo di Hugo elimina varie digressioni del testo letterario, ma ne conserva due aspetti fondamentali: l’accentuazione grottesca, tipicamente romantica, come conciliazione di elementi antitetici; la riflessione sulla maschera e il travestimento. L’Inghilterra del 17° secolo è letta attraverso la lente del grottesco, nella rappresentazione del potere, per il tramite della figura malvagia di Barkilphedro, ideale alter ego di Gwynplaine. Il tema della maschera nella sua duplice accezione ‒ iconica, nelle sembianze deformi del clown, e narrativa, nel gioco politico delle verità e apparenze della corte ‒ consente l’espressione visiva dei conflitti soggiacenti la narrazione. Allo stesso tempo, la performance eccezionale di Conrad Veidt rappresenta il canto del cigno di un divismo alternativo a quello del sonoro, in cui l’interprete ha caratteri comuni con l’attore teatrale nella capacità di trasformazione, anziché ribadire nei film una propria identità fissa.
(Francesco Pitassio, Treccani enciclopedia del cinema)